Il Papa ci aiuta a meditare sul significato della Lavanda dei piedi. Questo testo è l’omelia da lui tenuta nella basilica di S.Giovanni in Laterano la sera del Giovedì santo, alla Messa “In Coena Domini” 2006.
"Avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine" (Gv 13, 1): Dio ama la sua creatura, l'uomo; lo ama anche nella sua caduta e non lo abbandona a se stesso. Egli ama sino alla fine. Si spinge con il suo amore fino alla fine, fino all'estremo: scende giù dalla sua gloria divina. Depone le vesti della sua gloria divina e indossa le vesti dello schiavo. Scende giù fin nell'estrema bassezza della nostra caduta. Si inginocchia davanti a noi e ci rende il servizio dello schiavo; lava i nostri piedi sporchi, affinché noi diventiamo ammissibili alla mensa di Dio, affinché diventiamo degni di prendere posto alla sua tavola – una cosa che da noi stessi non potremmo né dovremmo mai fare.
Dio non è un Dio lontano, troppo distante e troppo grande per occuparsi delle nostre bazzecole. Poiché Egli è grande, può interessarsi anche delle cose piccole. Poiché Egli è grande, l'anima dell'uomo, lo stesso uomo creato per l'amore eterno, non è una cosa piccola, ma è grande e degno del suo amore. La santità di Dio non è solo un potere incandescente, davanti al quale noi dobbiamo ritrarci atterriti; è potere d'amore e per questo è potere purificatore e risanante.
Dio scende e diventa schiavo, ci lava i piedi affinché noi possiamo stare alla sua tavola. In questo si esprime tutto il mistero di Gesù Cristo. In questo diventa visibile che cosa significa redenzione. Il bagno nel quale ci lava è il suo amore pronto ad affrontare la morte. Solo l'amore ha quella forza purificante che ci toglie la nostra sporcizia e ci eleva alle altezze di Dio. Il bagno che ci purifica è Lui stesso che si dona totalmente a noi – fin nelle profondità della sua sofferenza e della sua morte. Continuamente Egli è questo amore che ci lava; nei sacramenti della purificazione - il battesimo e il sacramento della penitenza - Egli è continuamente inginocchiato davanti ai nostri piedi e ci rende il servizio da schiavo, il servizio della purificazione, ci fa capaci di Dio. Il suo amore è inesauribile, va veramente sino alla fine.
"Voi siete mondi, ma non tutti", dice il Signore (Gv 13, 10). In questa frase si rivela il grande dono della purificazione che Egli ci fa, perché ha il desiderio di stare a tavola insieme con noi, di diventare il nostro cibo. "Ma non tutti" – esiste l'oscuro mistero del rifiuto, che con la vicenda di Giuda si fa presente e, proprio nel Giovedì Santo, nel giorno in cui Gesù fa dono di sé, deve farci riflettere. L'amore del Signore non conosce limite, ma l'uomo può porre ad esso un limite.
"Voi siete mondi, ma non tutti": Che cosa è che rende l'uomo immondo? È il rifiuto dell'amore, il non voler essere amato, il non amare. È la superbia che crede di non aver bisogno di alcuna purificazione, che si chiude alla bontà salvatrice di Dio. È la superbia che non vuole confessare e riconoscere che abbiamo bisogno di purificazione. In Giuda vediamo la natura di questo rifiuto ancora più chiaramente. Egli valuta Gesù secondo le categorie del potere e del successo: per lui solo potere e successo sono realtà, l'amore non conta. Ed egli è avido: il denaro è più importante della comunione con Gesù, più importante di Dio e del suo amore. E così diventa anche un bugiardo, che fa il doppio gioco e rompe con la verità; uno che vive nella menzogna e perde così il senso per la verità suprema, per Dio. In questo modo egli si indurisce, diventa incapace della conversione, del fiducioso ritorno del figliol prodigo, e butta via la vita distrutta.
"Voi siete mondi, ma non tutti". Il Signore oggi ci mette in guardia di fronte a quell’autosufficienza che mette un limite al suo amore illimitato. Ci invita ad imitare la sua umiltà, ad affidarci ad essa, a lasciarci "contagiare" da essa. Ci invita – per quanto smarriti possiamo sentirci – a ritornare a casa e a permettere alla sua bontà purificatrice di tirarci su e di farci entrare nella comunione della mensa con Lui, con Dio stesso.
BENEDETTO XVI
Ricambiare il suo gesto
“Avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine” (Gv 13,1)…..ma io, uomo stolto, fino a che punto mi lascio amare?
Quante volte, quante volte Signore, ti ho rifiutato, non comprendendo la tenerezza infinita del Tuo amore?
Compiendo quello che aveva già preannunciato, “non sono venuto per essere servito ma per servire” (cfr. Mc 10,45), Gesù, durante l’Ultima Cena, sovverte la logica umana, annulla il senso comune, dell’epoca ma anche del nostro tempo, di un Dio giustiziere, castigatore, e ci restituisce invece l’immagine abbagliante di un Dio che si spoglia, che si dona nudo, così come nudo si consegnerà alla croce.
Il Giovedì Santo Gesù ci ha donato il suo amore, e lo ha fatto in modo nitido, chiaro, diretto, con un gesto anomalo, quasi scandaloso per l’epoca, un colpo di scena di antologica memoria: inginocchiarsi davanti a dodici uomini increduli e lavare loro i piedi. Chissà le facce di costoro, chissà quali occhiate si saranno lanciate, di fronte ad un’azione che solo gli schiavi compivano e per giunta unicamente al loro padrone, o al massimo ai suoi ospiti.
Non solo, ma nell’antichità i sandali erano aperti e colui che li calzava arrivava alla mensa con i piedi polverosi; ecco dunque la volontà del Signore esplicitarsi nel più semplice dei gesti: il lavarci dalla nostra sporcizia, dalle nostre categorie umane, con l’acqua, il liquido primordiale in cui fiorisce la vita e che Gesù usa per riportarci alla vita, come pure nel battesimo.
Per questo la Pasqua diventa la nostra purificazione, perché vuol dire lasciarsi perdonare e immergere nell’acqua che, in Cristo, lava i piedi sporchi di questo mondo bisognoso d’amore.
E tuttavia molte volte l’uomo prova a sottrarsi a questo “destino” di amore, proprio come Pietro che inizialmente rifiuta il gesto di Gesù, proprio come me che tante volte rifiuto di farmi lavare, rapito dalle sirene di un mondo che mi fa quasi sentire creditore dinanzi a Dio.
Novello Giuda è poi molto spesso l’uomo, che, assetato di vendetta, competizione sfrenata e beni caduchi, continua a rifiutare la purificazione, la bontà di Dio, il ritorno a casa dove, nonostante tutto il trascorso, troverebbe un Padre che, come il padre del Figliol prodigo, è disposto a dimenticare il passato cattivo pur di riaverlo con sé.
Ma l’atto dell’inginocchiarsi non è solo purificazione, che il Signore compie continuamente per tutti noi nel battesimo e nella penitenza, ma anche una lezione di umiltà, di immolazione volontaria per gli altri, di amore; un amore talmente infinito che, come l’infinito matematico, risulta difficilmente stimabile, quantificabile dall’uomo, ma che invece con questo semplice gesto assume proporzioni comprensibili alla mente umana.
Gesto che, per volontà del Padre, si erge a simbolo e postulato della Fede cristiana, a unico comandamento che compendia tutta la Scrittura: l’amore incondizionato, il comandamento dell’amore spontaneo, vicendevole, che non chiede ma solo dona.
Ecco allora il Giovedì Santo: testamento di Gesù, invito ad aprirsi ai bisognosi, a consolare gli afflitti, a confortare gli sfiduciati, ad indossare il grembiule del servo e a lavarsi i piedi gli uni gli altri.
Grembiule che, se portato idealmente da tutti, darebbe una lezione di umiltà e fratellanza; penso alla politica, all’economia mondiale, alle nazioni ricche che potrebbero, dimentiche della loro smania di averi, mettersi ogni tanto loro “ai piedi” dei paesi poveri senza trarne vantaggi e benefici.
Ecco allora il Giovedì Santo: il giorno dei sentimenti umani, dell’amicizia, della dolcezza, della comprensione, della consolazione, dell’accoglienza, dell’aiuto, di cui tutti abbiamo bisogno e che il Signore, scendendo in basso sino ai piedi dei dodici, ci dà in consegna.
Lavare i piedi, inginocchiarsi, non rimane più solo un gesto, ma diventa allora un modus vivendi, si eleva a cammino di salvezza.
E perché quindi non fermarsi davanti all’Altare del Sacramento il Giovedì Santo, perché non ricambiare col gesto dell’inginocchiarsi il nostro affetto e la nostra amicizia a Gesù?
Non lo ha fatto forse altre infinite volte Lui, oltre a quella sera speciale?
Francesco Elefante